Social Meda Manager e Trattamento Dati Personali (1)

Social Media Manager e Trattamento Dati Personali

Lo sai che un Social Media Manager è un Responsabile esterno del Trattamento Dati?

Quella del Social Media Manager (SMM), uno dei nuovi lavori nati con Internet 2.0, vale a dire l’Internet dinamico che permette agli utenti di interagire online tra di loro e con le aziende, è una figura allo stato non oggetto di una disciplina che ne delinei ambiti, compiti, qualifiche e responsabilità. Ciò non toglie che anche il SMM sia sottoposto a obblighi di legge che, purtroppo, sembra non siano sempre osservati. E le conseguenze possono essere pesanti.

Facciamo una premessa- Il GDPR, il regolamento europeo per il trattamento e la protezione dei dati personali, si applica a tutti quei soggetti che trattano dati in proprio o per conto terzi. Ad esempio, il commercialista e il consulente del lavoro trattano i dati dei clienti e dei lavoratori dei propri clienti. Seconda premessa: per dati non si intendono solo quelli identificativi di una persona ma anche quelli che possono portare alla sua identificazione. Non solo, quindi, nome e cognome, ma anche fotografie, preferenze, preferenze gastronomiche o sessuali, allergie, malattie e tutto ciò che, ai sensi della normativa europea, potrebbe portare all’identificazione di una persona (detta interessato dal Regolamento.

Ovviamente coloro che mettono a disposizione piattaforme social sono consapevoli di ciò e, pertanto, predispongono privacy policy abbastanza rigorose che lo salvaguardano; ad esempio Facebook avverte i suoi utenti che Se i contenuti e le informazioni vengono raccolti direttamente dagli utenti, il gestore della Pagina, del gruppo o dell’evento deve specificare chiaramente di essere lui (e non Facebook) l’esecutore della raccolta dei dati, fornendo agli utenti un avviso chiaro e ottenendo il consenso dell’utente per l’uso e il trattamento dei contenuti e delle informazioni raccolti. A prescindere dalla modalità di raccolta dei contenuti e delle informazioni degli utenti, il gestore della Pagina, del gruppo o dell’evento è tenuto a ottenere tutte le autorizzazioni necessarie per il riutilizzo dei contenuti e delle informazioni.”

È immaginabile la quantità e qualità di dati che, pertanto, possono passare tramite i social ai creatori di pagine e profili a coloro che li usano per promuovere attività e prodotti, organizzare eventi, manifestazioni o altro. Non solo il nome e cognome dell’utente dal quale si potrebbe risalire ad altro profilo social o ad altri dati personali e, se non nascosti, alla mail o il cellulare del profilo, ma anche informazioni sensibili. Basti immaginare chi nei commenti dichiara di partecipare ad un evento “solo se ho una scelta vegetariana” oppure non potesse partecipare “perché ho una gamba rotta.”

Di tutto ciò se ne è resa conto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale ha stabilito che l’amministratore di una pagina Facebook è contitolare del trattamento dei dati personali degli utenti che la visitano insieme a Facebook stessa, in quanto entrambi determinano finalità e mezzi del trattamento. Chissà in quanti, in tal senso, hanno predisposto un avviso sulla loro pagina su come saranno trattati i dati, sorge spontanea la domanda su che cosa deve essere fatto quando i dati sono trattati da terzi per conto del Titolare. Ergo, i Social Media manager sono coinvolti nella filiera della privacy e del trattamento dati?

La risposta è affermativa. Ovviamente dipende dalle modalità con cui il SMM ha accesso ai dati e che cosa deve fare, ma è innegabile che questa moderna figura professionale abbia a disposizione quantomeno il nome e cognome dei follower o di chi si limita a lasciare un like. Inoltre, non è improbabile che il SMM con il ruolo di editor, ha la possibilità di interagire con messaggi o commenti, visualizzare i dati di insight, gestire offerte di lavoro o altre attività che possono portare anche alla gestione di newsletter e mailing list. Ergo, tutte attività che costituiscono forma di trattamento dati che può essere svolta solo in presenza di un contratto o altro atto giuridico idoneo con il quale il Titolare del trattamento nomina il SMM Responsabile Esterno indicando ben precisi limiti (e magari le modalità di svolgimento dell’attività) al suo SMM.

Di conseguenza laddove la figura professionale sia in qualsiasi maniera inserita in una struttura organica o gerarchica (web agency o collaboratore esterno), anche i rapporti interni dovranno essere disciplinati. E, si badi bene, non possono essere usate policy standard o formulari copia-incolla; ogni attività è diversa e customizzata sulle esigenze dell’azienda o del personaggio per il quale lavora un SMM. Un politico ha bisogno di dati diversi rispetto ad un ristorante o un’azienda di riparazione cellulari).

In sintesi, al momento della conclusione di un contratto con un Social Media Manager, questi dovrà essere nominato sempre e comunque responsabile esterno del trattamento con una lettera di incarico appositamente costruita sulla base della qualità e tipologia dei dati con cui verrà in contatto e dell’attività che dovrà svolgere. Eventualmente si dovranno poi disciplinare, sempre con atto scritto, i ruoli e le responsabilità di altri soggetti (es community manager e organizzatori di eventi).

La mancanza di questa nomina scritta cosa può comportare per il Titolare e il SMM? Che verrebbe a porre in essere un’attività di trattamento dati senza autorizzazione, senza titolo e, magari, senza avere informato l’utente sui soggetti che eseguono i trattamenti, sulle modalità degli stessi e, non ultimo, l’esercizio dei suoi diritti quale Interessato. Il rischio? Una sanzione economica da parte del Garante che potrebbe essere anche a cinque zeri, oltre a una serie di altre imposizioni che possono andare dalle comunicazioni ai singoli interessati fino al divieto di trattamento dati.

Ribadiamolo. Queste sanzioni sarebbero emesse sia nei confronti del cliente che è Titolare del Trattamento, sia nei confronti del Social Media Manager che è il Responsabile Esterno.

Ecco perché ogni azienda dovrebbe affidarsi a agenzie web e Social Media Manager che, anche con l’ausilio di avvocati specializzati, sappiano come evitare queste sanzioni che ben potrebbero toccare anche i loro clienti nei confronti dei quali si assumono precise responsabilità.

Gianni Dell’Aiuto

Avvocato – Data Protector Officer

social media manager

Fai tutto tu: una frase pericolosa per Social Media manager e clienti

Fai tutto tu è una di quelle frasi che possiamo dire al cameriere di un ristorante nel quale poniamo cieca ed assoluta fiducia ma, anche in questo caso, potremmo pentircene: potrebbe sturare una bottiglia da cinquecento euro che va oltre il nostro budget.

Tuttavia, questa frase è purtroppo troppo spesso usata da chi, digiuno di una materia, si rivolge ad un professionista a cui, confidando nelle sue competenze, non può che lasciare in mano l’intera gestione di un’attività. Possiamo quindi dire queste parole ad un idraulico o all’elettricista chiamati a riparare un impianto guasto ma facciamo bene attenzione a usarla con un social media manager.

È oggettivamente impensabile che un imprenditore abbia la capacità di gestire la presenza sui social; presenza oggi sempre più indispensabile per guadagnarsi e mantenere la propria fetta di mercato e, possibilmente, allargarla. Ecco, quindi, che ci si affida ad un creatore di siti, un web designer e un social media manager perché i nostri business possano espandersi e, sperabilmente, sbaragliare la concorrenza.

Purtroppo, spesso, le parti di questo contratto non si rendono conto appieno delle implicazioni che stanno alla base del loro rapporto.

Già abbiamo parlato di come le aspettative delle parti possano non collimare quando il cliente non comprende appieno che un SMM assume un’obbligazione di mezzi e non di risultato ma, andando oltre, al professionista del web potrebbe sfuggire che lui assume le vesti del proprio cliente online, sostituendosi a lui in tutto e per tutto, ma lasciando a questi le responsabilità civili e, in caso, anche penali del suo operato.

Il Social Media manager, in non pochi casi, è deputato anche alla costruzione di contenuti e immagini da pubblicare e, al contempo, ha in dotazione un database di informazioni preziosissimo del cliente, vale a dire tutti i like ed i commenti che le interazioni sui social, di cui ha il totale controllo, hanno generato.

L’ipotesi è meno rara di quanto non si possa credere, specialmente quando ci si rivolge ad una web agency che offre un servizio completo che va dalla creazione di una pagina web fino al suo posizionamento e le successive campagne social.

Si tratta di aspetti che devono trovare tutti la disciplina in appositi contratti opportunamente costruiti dove prevedere diritti e doveri delle parti, ma anche responsabilità ed eventuali manleve a fronte di comportamenti che possano creare pregiudizio a terzi.

Caso che si può presentare è l’utilizzo di immagini protette da copyright. Fondamentale quindi prevedere, fin dall’instaurazione del rapporto a chi spetta il compito di fornire materiali e altri contenuti facendo salva l’altra parte da eventuali richieste di risarcimenti danni.

Altro aspetto a volte trascurato è quello dei contenuti che vengono lanciati online. In un momento in cui imperversa un “politically correct” di cui tutti si sentono depositari, non è improbabile che qualche utente, sentendosi offeso da un post o un commento di altri utenti, possa scatenare una vera e propria shitstorm su una pagina o un profilo o decidere di investire l’autorità giudiziaria generando, in tal modo, costi per spese legali e addirittura risarcimenti danni.

Stabilire quindi, già al momento della stipula del contratto, la ripartizione delle responsabilità e dei successivi eventuali costi potrebbe essere decisamente opportuno.

Non ultimo fondamentale aspetto è quello relativo all’eventuale trattamento dati personali e i possibili abusi che potrebbero derivarne.

In linea di principio un Social Media Manager non ha accesso ai dati che vengono trattati dal proprio cliente quale Titolare ai sensi del GDPR; tuttavia, nel caso di gestione di un sito internet, analisi del traffico tramite cookie e risposte alle mail degli utenti, il SMM assume la qualifica di responsabile esterno del trattamento e, in tal senso, deve essere nominato con lettera di incarico. Detta omissione può essere valutata come violazione dal Garante e sanzionata nei confronti del cliente e, allo stesso modo, chi tratta detti dati può essere oggetto di procedimento per avere effettuato trattamenti senza autorizzazione.

Infine, il SMM deve ricordare che l’accesso alle banche dati dei propri clienti viene concesso per un ben preciso scopo, vale a dire quello del contratto e non può quindi farne altro uso.

Sintomatica in tal senso una recente pronuncia della cassazione che, pur trattando altra fattispecie, non specifica, ha stabilito che ha stabilito come l’art. 615-ter del Codice Penale (Accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico), trova applicazione ogni volta non solo che si faccia accesso senza titolo o autorizzazione ad una banca dati o rete altrui, ma anche quando ciò avvenga per scopi non leciti o legittimi.

Ergo un SMM che, ad esempio, utilizzi dati per offrirli alla concorrenza o li monitorasse per altri scopi, potrebbe incorrere anche in questa ipotesi di reato.

Da queste osservazioni emergono due ordini di considerazioni:

  1. come non sia opportuno quando si conclude contratti come quelli relativi alla rete limitarsi ad una stretta di mano, o accettare un preventivo che contiene spesso solo i dettagli economici o, peggio ancora, mettersi totalmente in mano alla controparte con il classico fai tutto tu, senza avere una compiuta conoscenza dei rischi a cui si può andare incontro.
  2. Per la gestione del proprio marketing o della propria comunicazione affidarsi sempre ad agenzie fidate: controllare che abbiano un sito, leggere le recensioni dei titolari su LinkedIn e prendere informazioni prima di stipulare un contratto per il quale è opportuno anche l’intervento di un avvocato specializzato sull’argomento, meglio se inserito nel team dell'agenzia che risulta, così, strutturata in modo completo ed efficiente.

Gianni Dell'Aiuto

Avvocato

L’influenza dei social nella vita quotidiana

L’influenza dei social nella vita quotidiana

Davvero l'influenza dei social è così penetrante nella nostra vita? Proviamo a scoprirlo leggendo questa profonda disamina dell'Avv. Gianni dell'Aiuto.

Persone che camminano in strada, in autobus, sul treno, o seduti ai tavoli di un bar concentrati sul proprio cellulare. Gruppi di ragazzi in cui ciascuno è intento a guardare il proprio schermo, spesso ignaro di ciò che avviene intorno.

Coppie che al ristorante parlano senza interruzione con il resto del mondo, mediante quel terminale che sembra sia diventato un’estensione fisiologica del braccio. Scene ordinarie nell’era del digitale in cui tutto, o quasi, può essere fatto in rete, comodamente seduti da casa.

I social hanno davvero cambiato la nostra vita?

Ebbene sì: l'influenza dei social ha cambiato il nostro modo di vivere, di comunicare, di lavorare. Fino alla fine degli anni Novanta, il fax sembrava già uno strumento rivoluzionario; poi il PC ha mandato in soffitta la macchina da scrivere, la carta copiativa e le stenodattilografe.

Alcuni lavori non esistono più anche se il web ne ha creati altri: dall’analista di sistema al programmatore fino ad arrivare ai blogger, agli influencer, ai social media manager e chissà quante altre se ne creeranno.

I vantaggi della tecnologia

Possiamo usare al meglio le nuove tecnologie e l’Internet delle cose (IoT) è in costante sviluppo: che bello arrivare a casa dal lavoro e avere programmato dallo smartphone un bagno caldo, la musica preferita e una tazza di tè bollente. Dal divano di casa possiamo lavorare, fare la spesa, pagare le bollette, frequentare corsi di cucina e di lingue, mantenerci in forma con lezioni di fitness, yoga e, infine, socializzare.

L'influenza dei social nella vita quotidiana è notevole e negarlo vorrebbe dire mentire a noi stessi. Quanti di noi come primo gesto al risveglio controllano status e messaggi prima ancora del caffè? Esistono persone che, come primo gesto quotidiano, mandano a decine di contatti il “buongiornissimo” e invitano i loro amici e follower a bere un Kaffeissimo.

Qualcuno addirittura non esce di casa senza avere ascoltato il consiglio quotidiano del suo influencer. Estremismi ed esagerazione? Vorrei tanto essere smentito.

Quanto incidono i social nella nostra vita sociale?

I social sono i più vasti oceani nel mondo della rete: quel mare magnum di cui si dice che “se non ci sei non esisti”. Sono piazze, virtuali, dove le persone si incontrano, si conoscono, si scambiano opinioni, simpatizzano e, forse, dopo passano al contatto reale. Mark Zuckerberg ha contribuito alla definitiva estinzione delle agenzie matrimoniali.

Ma siamo sicuri che i social siano piazze e non altro? Circola in rete la barzelletta di un tizio che, invece di postare status su Facebook, decide di farlo, come avremmo fatto in passato, su una vera piazza. Va quindi in giro a dire che cosa ha mangiato, fa vedere le foto del suo gatto, tocca le persone dicendogli “mi piaci” e cerca di intervenire nelle conversazioni altrui. Conclude dicendo che i suoi follower sono i carabinieri e uno psichiatra. Mi sembra un quadro molto aderente a una possibile realtà non virtuale.

I social non sono gratis

L'influenza dei social è assodata insomma. Adesso, tuttavia, dobbiamo porci la domanda essenziale. Chi paga i social? Avete mai riflettuto sul fatto che l’iscrizione è gratuita?

Il costo dei social è sostenuto dalle aziende e dagli utenti; sono proprio questi ultimi che pagano con i loro dati e fanno girare un’economia che è, probabilmente, già quella più importante del mondo. Le aziende pagano non solo con la pubblicità, ma anche con la loro attività di posizionamento che permette di farci apparire sugli schermi il loro prodotto come primo della ricerca.

Non esiste più, se non per piccole realtà locali, il cartellone sulla strada che si spera qualcuno legga e, in conseguenza del quale, entri in quel negozio o compri quella specifica bibita o detersivo.

Queste aziende faranno girare sempre più la loro pubblicità e la loro esistenza basandosi sui click e i like che vengono raccolti online, nel luogo dove avvengono le maggiori interazioni e, di conseguenza, le profilazioni dell’utenza.

Un professionista sa bene che il cliente si rivolgerà a lui dopo che avrà verificato i suoi successi online e tra un avvocato o un medico che hanno pagine web di successo ed uno che, viceversa, non si trova in rete a chi è più probabile si rivolga un utente di internet?

I social potranno solo svilupparsi e crescere; chissà quale sarà il prossimo. E un genitore che, prima, diceva ai figli studia se vuoi diventare medico ben potrebbe dire oggi gioca al pc per diventare influencer.

Avv. Gianni Dell’Aiuto

Furto e vendita di dati_ istruzioni per il Social Media Manage

Furto e vendita dati: istruzioni per Social Media Manager

Furto e vendita dati: come ci si può proteggere dai pericoli interni?

Ecco alcune istruzioni per il Social Media Manager.

Dipendenti e collaboratori possono essere vere falle nel sistema di protezione dei dati e gestione della Privacy. Non solo disattenzioni, furto e vendita dati, data breach; adesso abbiamo la prova che in ogni azienda possiamo trovare un traditore al suo interno.

E’ di alcuni giorni fa la notizia di un’operazione della Polizia Postale che ha scoperto come alcuni dipendenti di TIM avessero messo in vendita i dati personali degli utenti. Tredici ai domiciliari e sette in carcere. Coinvolti non solo impiegati, ma anche ovviamente intermediari che si occupavano di tenere i contatti e, ovviamente, andare a rivendere i dati a qualche azienda di marketing, di profilazione o direttamente alla concorrenza. Le indagini sono ancora in corso e sono nate da una denuncia della stessa TIM che, almeno sotto questo punto di vista, si è dimostrata attenta. Sicuramente sarà stata fatta anche una segnalazione al Garante che emetterà i provvedimenti di sua competenza. Dalla cronaca sembra che siano stati sottratti i dati di oltre un milione di utenti e che il guadagno per ogni contratto concluso fosse di quattrocento euro. Una cifra importante se pensiamo ai numeri complessivi. Gli acquirenti? Sembra i call center che, alla faccia del GDPR e dei divieti imposti, sembra che non siano toccati dalla cosa. Forse qualche pesante sanzione da parte del Garante potrebbe essere un segnale.

I dati più richiesti? Sembra quelli registrati per i reclami. Quale migliore occasione, infatti, di chi è scontento di un servizio per offrirgli un’alternativa?

Adesso è giunto il momento per un Social Media Manager, e per le società che utilizzano questa figura ormai sempre più indispensabile per essere presenti e visibili sul mercato, di capire a quali dati in loro possesso potrebbe interessarsi qualche criminale informatico. Apparentemente, infatti, e come purtroppo qualcuno continua a ritenere, il SMM non lavorerebbe con i dati e non ne entrerebbe in possesso.

Sul punto si vogliono ribadire due aspetti fondamentali. Il primo è che, come ogni imprenditore, un SMM è soggetto al GDPR in quanto deve concludere accordi con clienti, fornitori e collaboratori e, pertanto, non può sottrarsi ad un preciso obbligo di legge. Il secondo punto è che, sostituendosi di fatto al suo cliente o, peggio ancora, a quello dell’agenzia per cui lavora, il SMM ha la disponibilità a una quantità inimmaginabile di immagini, nomi, like e interazioni. Perché anche un like è un dato personale. Ai sensi del GDPR, infatti, per dato personale intendiamo “ogni informazione che non solo individui una persona, la renda identificabile, direttamente o indirettamente, ivi compresi gli identificativi on line quali gli elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale” E sotto questo punto di vista cosa altro può rendere identificabile una persona di un patrimonio di like e manifestazioni di preferenze su determinati argomenti?

Tutti questi dati costituiscono un patrimonio inestimabile per un’azienda, un professionista, un personaggio pubblico che voglia incrementare la propria visibilità o che aspiri a diventare a sua volta un volto del web. E’ chiaro che si tratta di dati di proprietà di chi li ha legittimamente raccolti, ottenendo in tal senso il consenso al trattamento, ma chi ci mette le mani, li gestisce e tratta dal proprio computer o altro strumento adeguato, è il SMM. Non solo; è estremamente probabile anche che il SMM possa essere completamente sconosciuto al cliente ultimo e ai suoi fan e follower: quante aziende o personaggi vorrebbero far sapere al loro pubblico che le risposte e i commenti sono materialmente scritti da un’altra persona? Ed un ulteriore aspetto da considerare: il SMM è figura interna di un’azienda che cura l’immagine del cliente ultimo o è, come più spesso accade, una figura esterna?

Si tratta di aspetti di non poco rilievo che assumono una fondamentale importanza sia a livello giuridico per la costruzione di contratti che tutelino tutte le parti, sia per la gestione ed il trattamento dei dati: cosa accadrebbe se, ad esempio, un hacker si impadronisse di un database di clienti di un’azienda o follower di un politico bucando l’account del SMM? Altra situazione da considerare, alla luce della vicenda TIM.

Premesso che il furto e vendita dati è reato di cui risponde chi lo ha commesso, cosa accadrebbe nei rapporti tra le parti, la gestione del data breach e l’eventuale irrogazione di sanzioni da parte del Garante? E se un collaboratore del SMM si lasciasse corrompere come i dipendenti infedeli di TIM per avere quei dati?

In questo contesto si intrecciano interessi e peculiarità tali da imporre un’attenta analisi preventiva dei rapporti, delle attività richieste a ciascuno dei players e creare strumenti contrattuali e lettere di nomina e incarico che cerchino di salvaguardare tutte le posizioni, oltre ad una costante formazione degli operatori anche per evitare furto e vendita dati.

Gianni Dell’Aiuto

Avvocato – Data Protector Officer

Per approfondire leggi anche: https://www.emeracomunicazione.it/2020/06/12/il-contratto-del-social-media-manager-2/

digital kidnapping

Digital kidnapping: il rischio estremo in rete

Il Digital kidnapping è ancora molto sconosciuto per questo vale la pena spiegare subito di cosa si tratta. Sicuramente avete quell’amica o parente che, non appena scopre di essere incinta, prima di tutto lo comunica sui social e, presa dall’entusiasmo e dalla felicità, dimentica che il messaggio non giunge solo ai destinatari che lei immagina, ma a tutta l’utenza globale della rete.

E non sappiamo chi c’è dall’altra parte della tastiera. Ovviamente la vostra amica vi farà sapere quando nasce il bambino, fornendovi la possibilità di avere il codice fiscale; saremo poi tenuti costantemente aggiornati su compleanni, eventi più o meno belli, magari facendovi sapere chi sono gli amichetti che partecipano. Apoteosi con il primo giorno di scuola, la prima comunione, la partita di calcetto o il primo saggio di danza.

Fermiamoci un attimo a pensare: ad un bambino di pochi anni, la mamma, spalleggiata da nonne, zie, amiche, ha costruito un’identità digitale. Un bambino non è ancora in grado di parlare, tantomeno leggere e scrivere, e qualcuno gli sta garantendo una presenza sui social condita da abbondanti fotografie.

Prese dalla smania di far vedere e celebrare i propri figli, queste mamme non riflettono sul fatto che la rete è un immenso oceano dove tutti possono pescare e che ha una memoria infinita. Inoltre, nel momento in cui una fotografia viene postata, chiunque se ne può impossessare e usarla come e quando deciderà. Quante foto di bambini vengono pubblicate in rete?

Uno studio americano del 2016 ipotizzava una media di 116 all’anno: addirittura ben il 90 % dei bambini al di sotto dei due anni negli Stati Uniti avrebbe almeno una foto sui social. Sono dati a cui possiamo credere e che lasciano pochi dubbi che possano essere validi anche in Italia. Ma di che cosa se ne può fare qualcuno di queste fotografie e di questi dati? Dati di cui, oltretutto, chi posta ne perde il controllo e il bambino, diretto interessato, non potrà mai averlo.

Insomma viene data la possibilità a qualsiasi utente della rete di usare l’identità di quel bambino.

Per che cosa? Alcune identità vengono vendute sul darkweb per giochi di ruolo: le foto vengono ripubblicate su account appositamente creati con hashtag quali #adoptionrp, #orphanrp e #babyrp. Insomma si corre il concreto rischio che il proprio figlio venga utilizzato facendolo interagire adulti o altri bambini. E’ possibile che venga inserito in un contesto familiare in cui più persone che possono essere coppie, fratelli o genitori e le immagini del bambino possono fare il giro della rete con una mamma e un papà diversi che potrebbero essere coinvolti nelle vicende che la fantasia dei rapitori o degli acquirenti di immagini decidono di fargli vivere.   

Perché la definizione corretta è proprio quella di “rapimento digitale” o, più correttamente, “Digital Kidnapping.” Non è il classico furto di identità che avviene quando qualcuno si sostituisce alla sua ignara vittima per svuotargli il conto corrente o la carta di credito.

Il Digital Kidnapping consiste nel far propria l’identità di una persona per farne i più svariati usi. Da quello appena indicato di usarla in un gioco virtuale alla creazione di follower di un profilo fino al predisporre pacchetti che possono essere venduti a chi decide di usare un numero potenzialmente infinito di identità per incidere su sondaggi o preferenze che possono essere non solo quelli sul festival di Sanremo o il Grande Fratello, ma anche incidere sulle elezioni del prossimo presidente americano.

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di ipotesi fantascientifiche, ma purtroppo la realtà li smentisce: ricordiamoci che hacker e pirati informatici hanno a loro disposizione non solo gli strumenti necessari e tutto il tempo necessario, ma hanno anche un numero infinito di complici che li aiutano ogni giorno e agevolano il loro lavoro: tutti coloro che postano foto e informazioni in rete.

Avv. Gianni Dell'Aiuto

Contatti: www.dellaiuto.com

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