Fake news: ecco come riconoscerle

Come si fa a riconoscere una fake news e quale responsabilità hanno gli operatori del web?

Partiamo da un presupposto: credere ad una notizia falsa è molto più semplice di quanto non si pensi. Può essere addirittura piacevole e sicuramente facile adagiarsi su una non verità magari perché è di semplice comprensione o è bello crederci. Lo avete fatto anche voi. Non mi credete? Ripensate allora a Babbo Natale. Sono pronto a scommettere che qualche lettore è rimasto scioccato quando ha appreso che il simpatico vecchietto con la barba bianca che portava i doni non esisteva.

Avevamo gli strumenti per rendercene conto? Forse. Tuttavia, chi manipolava quella falsa credenza, addirittura mamma e papà, facevano di tutto per mantenere i figli in quello stato di beata ignoranza chiamato infanzia in cui era bello magari credere anche ad un drago da uccidere con una spada ed avere in cambio l’amore di una bellissima principessa che assomigliava alla vicina di banco con la bocca sporca di marmellata.

Oggi ci troviamo in contesti in cui le fake news sono parte integrante del nostro quotidiano e, in particolare, di chi naviga in Internet. Si consideri inoltre che con le fake news è addirittura più facile guadagnare. Un rapporto di NewsGuard e Comscore ha messo in evidenza che si riesce ad avere in media sei volte più like ed interazioni con una fake news rispetto alle notizie vere.

Un dato di fatto sconcertante viene dallo stesso rapporto che analizzando oltre seimila siti ha scoperto che quasi il dieci percento diffonde sistematicamente fake news e bufale. Facile per loro oltre che conveniente: aumentano traffico, interazioni, condivisioni e, in ciò, vengono aiutati da un pubblico molto distratto, se non realmente ignorante che appena legge una notizia strana o particolare reagisce con quel “nel dubbio diffondo” che non pochi danni ha creato finora. Scettici? Non vorrei citare una ad una le centinaia di notizie false e la disinformazione intorno al Covid ma, per restare in ambiente medico pensiamo alle “cure miracolose” per il cancro a base di limonata e bicarbonato (e i decessi di chi vi ha creduto) oppure per toccare un argomento che sembra prenda sempre più piede la terra piatta. Chiediamoci anche (pur rispettando una scelta laddove sia veramente etica), quanti vegani vi sarebbero senza internet e, in particolar modo, quelli che credono l’uomo sia nato frugivoro. Ci siamo imbattuti anche in respiriani e chi è convinto che i dinosauri non siano mai esistiti (ma se è per questo anche il Molise).

A volte, ammettiamolo, è difficile comprendere se la notizia sia vera o falsa e, su queste ultime, se non sia una vera e propria provocazione come lo erano, ad esempio, le comunicazioni provenienti dal Comune di Bugliano, ridente paesino toscano letteralmente inventato il cui sindaco emanava ordinanze quali il divieto di trucco per le studentesse, accettava autocertificazioni sulla vaccinazione anche omeopatica e ordinava ai possessori di cani di tenerli legati la notte per permettere botti liberi a capodanno. Qualcuno vi ha creduto al punto che l’inesistente sindaco è stato querelato da un avvocato portavoce dei novax. Potremmo andare oltre.

Dalle Fake è possibile difenderci; fat-checking, controlli incrociati, verifica delle fonti, il Test CRAAP (Currency, Relevance, Authority, Accuracy, Purpose), ed il PROVEN (Purpose, Relevance, Objectivity, Verifiability, Expertise, Newness) sono strumenti messi a disposizione dalla stessa rete per verificare già ad un primo esame la bontà della notizia. Esistono anche pagine web dedicate a smascherare proprio la disinformazione ma, come ben sappiamo, gli spacciatori di falsità sanno come muoversi per abbindolare il proprio pubblico.

In tutto ciò come si devono porre gli operatori del web? In particolare i creatori di siti e pagine social ma anche i gestori delle stesse, come devono comportarsi? Siamo abituati, ad esempio, a ricevere offerte quotidiane a mezzo mail, WhatsApp messaggi social da parte di “fornitori” di pacchetti di follower certificati, mailing list sicure e con il consenso già rilasciato e così via. La voglia di cedere a queste offerte potrebbe essere alta ma, al contempo, potrebbe essere altrettanto alta la tentazione di diffondere notizie false per avere una maggiore audience. Anche qui non mi credete? Immaginiamo un creatore di contenuti che ben pensa di scrivere che “studi scientifici indipendenti dimostrano che i nostri prodotti fanno bene, fanno dimagrire e sono i meno cari sul mercato.” Pensate davvero che buona parte dei tipici internauti si preoccuperebbero di chiedere verifica di questi studi? Un “pubblicitario” manipolatore si affida a questo. Non sono stati proprio loro a farci credere che esiste la famiglia del Mulino Bianco?

Affidarsi ad un’agenzia di comunicazione qualificata, che non ricorra a simili espedienti è a dir poco fondamentale; quando giungono offerte con “risultati garantiti”, “maggiori follower” e così via, il dubbio deve essere la prima reazione e si dovrebbe chiedere quali strumenti si intendano utilizzare. I rischi? Oltre a quelli di non avere i risultati sperati anche quello di essere coinvolti in spiacevoli questioni legali.

Gianni Dell’Aiuto

Avvocato – Data Protector Officer

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