Comfort zone nel digital

Tra marketing e dati ecco lo spazio personale in cui i Social Media Manager devono lavorare

La comfort zone è quell’area di sicurezza in cui ogni essere umano si sente protetto e, spesso, dalla quale non vuole uscire; è uno spazio di cui ognuno è geloso e difficilmente mette in mano ad altri le chiavi di accesso a questo spicchio di intimità. Da un lato gli psicologi e i coach motivazionali consigliano sempre di uscire dalla zona di comfort per crescere, migliorare la propria vita, i propri risultati personali ma, dall’altro lato, forze non solo interne spingono a non allontanarsi troppo da quell’area superprotetta in cui nessun male può accadere. Paura, aspetti caratteriali, esperienze del passato incidono ma anche elementi esterni vogliono che si rimanga dentro quegli spazi e, purtroppo, oggi complottano per fare sì che ognuno di noi resti nel suo angolo; tra questi i social.

Le piattaforme social hanno cambiato il nostro modo di vivere, le regole della comunicazione e tutte le interazioni personali e, di conseguenza, il mondo del marketing e della pubblicità. Sono nate nuove professioni e altre sono completamente cambiate. La figura della stenodattilografa è solo un ricordo di un passato che sembra lontanissimo mentre aziende e professionisti non possono prescindere da un buon social media manager che, come dice il nome, è la figura che si muove sui nuovi strumenti che mettono in contatto le persone.

Qualcuno ha detto che le piazze virtuali dei social sono addirittura un nuovo modo di vivere e il progressivo costante sviluppo del metaverso di cui Zuckerberg ci ha reso partecipi induce a ritenere che vivremo sempre più in nella realtà virtuale e potremo agire con gli altri utenti in maniera interattiva muniti di visori, guanti e esoscheletri.

Facciamo ora un passo indietro. Uno spazio social viene modellato da ogni singolo utente nel modo che più gli aggrada e il primo forse istintivo passo è quello di vietare l’accesso a persone sgradite, con cui non vuole interagire, che la pensano diversamente, che appartengono ad una razza o etnia che non piace o che, più semplicemente, stanno antipatiche. Forse non ci siamo fermati abbastanza a riflettere sulla circostanza che scegliere con chi interagire sui social è una forma di razzismo e intolleranza che raggiunge il suo apice quando, con un click, eliminiamo chi non gradiamo più nel nostro spazio. Come un dittatore taglia la testa ai suoi oppositori, l’utente social con la punta di un dito banna e blocca chi vuole e che, in quel momento, ha violato la sua comfort zone.

Se i sociologi avvertono di quanto questo atteggiamento possa portare a problemi di contatto umano e specialmente nei giovani, essere un inibitore di relazioni fisiche, gli operatori del web vanno in questa direzione e il percorso intrapreso sembra senza ritorno. Da qui la necessità per i social media manager di far muovere le possibili interazioni degli utenti tenendo presente che ogni volta in cui giunge all’interessato un messaggio sulla propria bacheca si va a toccare il suo spazio personale, la sua intimità. Un compito decisamente non semplice ed estremamente delicato quando, inoltre, si consideri che tutto ciò deve essere fatto prima di tutto nel pieno rispetto del GDPR ma anche tenendo presente che ogni errore o una eccessiva invadenza si può tramutare nella perdita di un follower e, conseguentemente, di un potenziale cliente.

Ricordiamo che sulle pagine degli utenti che hanno scelto di far parte di una community i messaggi e i post che vengono inviati compaiono perché è stato scelto di riceverli, ma basta un piccolo errore perché questa volta il click con cui si elimina una pagina o si esce da un gruppo perché l’immagine e il messaggio non rientrano più tra quelli benvenuti in una comfort zone. Allo stesso modo un’eccessiva analisi delle preferenze potrebbe configurare forma di trattamento dati che esula da quella accettata, ad esempio, da chi ha scelto di ricevere newsletter e si trova le caselle invase da troppa posta e pubblicità fin troppo personalizzate.

Da qui la necessità che aziende e imprenditori quando vanno a scegliere i loro social media manager non si lascino abbindolare solo dai risultati offerti, magari magnificati, da una web agency ma, prima di tutto, dalle modalità che saranno utilizzate per agire con i suoi follower ricordando che ogni singolo messaggio che inviano tocca quella privacy della sfera virtuale che ognuno di loro si è costruita intorno e vuole proteggere.

Non ultimo rischio, oltre a quello di perdere utenza, quello di una denuncia al Garante per la Privacy purtroppo spesso sottovalutato.

Gianni Dell’Aiuto

Avvocato

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