Furto e vendita di dati_ istruzioni per il Social Media Manage

Furto e vendita dati: istruzioni per Social Media Manager

Furto e vendita dati: come ci si può proteggere dai pericoli interni?

Ecco alcune istruzioni per il Social Media Manager.

Dipendenti e collaboratori possono essere vere falle nel sistema di protezione dei dati e gestione della Privacy. Non solo disattenzioni, furto e vendita dati, data breach; adesso abbiamo la prova che in ogni azienda possiamo trovare un traditore al suo interno.

E’ di alcuni giorni fa la notizia di un’operazione della Polizia Postale che ha scoperto come alcuni dipendenti di TIM avessero messo in vendita i dati personali degli utenti. Tredici ai domiciliari e sette in carcere. Coinvolti non solo impiegati, ma anche ovviamente intermediari che si occupavano di tenere i contatti e, ovviamente, andare a rivendere i dati a qualche azienda di marketing, di profilazione o direttamente alla concorrenza. Le indagini sono ancora in corso e sono nate da una denuncia della stessa TIM che, almeno sotto questo punto di vista, si è dimostrata attenta. Sicuramente sarà stata fatta anche una segnalazione al Garante che emetterà i provvedimenti di sua competenza. Dalla cronaca sembra che siano stati sottratti i dati di oltre un milione di utenti e che il guadagno per ogni contratto concluso fosse di quattrocento euro. Una cifra importante se pensiamo ai numeri complessivi. Gli acquirenti? Sembra i call center che, alla faccia del GDPR e dei divieti imposti, sembra che non siano toccati dalla cosa. Forse qualche pesante sanzione da parte del Garante potrebbe essere un segnale.

I dati più richiesti? Sembra quelli registrati per i reclami. Quale migliore occasione, infatti, di chi è scontento di un servizio per offrirgli un’alternativa?

Adesso è giunto il momento per un Social Media Manager, e per le società che utilizzano questa figura ormai sempre più indispensabile per essere presenti e visibili sul mercato, di capire a quali dati in loro possesso potrebbe interessarsi qualche criminale informatico. Apparentemente, infatti, e come purtroppo qualcuno continua a ritenere, il SMM non lavorerebbe con i dati e non ne entrerebbe in possesso.

Sul punto si vogliono ribadire due aspetti fondamentali. Il primo è che, come ogni imprenditore, un SMM è soggetto al GDPR in quanto deve concludere accordi con clienti, fornitori e collaboratori e, pertanto, non può sottrarsi ad un preciso obbligo di legge. Il secondo punto è che, sostituendosi di fatto al suo cliente o, peggio ancora, a quello dell’agenzia per cui lavora, il SMM ha la disponibilità a una quantità inimmaginabile di immagini, nomi, like e interazioni. Perché anche un like è un dato personale. Ai sensi del GDPR, infatti, per dato personale intendiamo “ogni informazione che non solo individui una persona, la renda identificabile, direttamente o indirettamente, ivi compresi gli identificativi on line quali gli elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale” E sotto questo punto di vista cosa altro può rendere identificabile una persona di un patrimonio di like e manifestazioni di preferenze su determinati argomenti?

Tutti questi dati costituiscono un patrimonio inestimabile per un’azienda, un professionista, un personaggio pubblico che voglia incrementare la propria visibilità o che aspiri a diventare a sua volta un volto del web. E’ chiaro che si tratta di dati di proprietà di chi li ha legittimamente raccolti, ottenendo in tal senso il consenso al trattamento, ma chi ci mette le mani, li gestisce e tratta dal proprio computer o altro strumento adeguato, è il SMM. Non solo; è estremamente probabile anche che il SMM possa essere completamente sconosciuto al cliente ultimo e ai suoi fan e follower: quante aziende o personaggi vorrebbero far sapere al loro pubblico che le risposte e i commenti sono materialmente scritti da un’altra persona? Ed un ulteriore aspetto da considerare: il SMM è figura interna di un’azienda che cura l’immagine del cliente ultimo o è, come più spesso accade, una figura esterna?

Si tratta di aspetti di non poco rilievo che assumono una fondamentale importanza sia a livello giuridico per la costruzione di contratti che tutelino tutte le parti, sia per la gestione ed il trattamento dei dati: cosa accadrebbe se, ad esempio, un hacker si impadronisse di un database di clienti di un’azienda o follower di un politico bucando l’account del SMM? Altra situazione da considerare, alla luce della vicenda TIM.

Premesso che il furto e vendita dati è reato di cui risponde chi lo ha commesso, cosa accadrebbe nei rapporti tra le parti, la gestione del data breach e l’eventuale irrogazione di sanzioni da parte del Garante? E se un collaboratore del SMM si lasciasse corrompere come i dipendenti infedeli di TIM per avere quei dati?

In questo contesto si intrecciano interessi e peculiarità tali da imporre un’attenta analisi preventiva dei rapporti, delle attività richieste a ciascuno dei players e creare strumenti contrattuali e lettere di nomina e incarico che cerchino di salvaguardare tutte le posizioni, oltre ad una costante formazione degli operatori anche per evitare furto e vendita dati.

Gianni Dell’Aiuto

Avvocato – Data Protector Officer

Per approfondire leggi anche: https://www.emeracomunicazione.it/2020/06/12/il-contratto-del-social-media-manager-2/

il contratto del social media manager

Il contratto del Social Media Manager: 5 errori da evitare

Chi entra in un bar e chiede “Un caffè”, ha appena accettato la proposta di vendita contenuta sul listino affisso sopra la cassa che indica “1 euro” quale prezzo da pagare. Da quel momento in poi nascono le obbligazioni dei contraenti: per il cliente pagare integralmente il prezzo e, per il barista, fornire zucchero, piattino e cucchiaino e un goccio di latte per macchiarlo, se richiesto. La tazzina non dovrebbe avere macchie di rossetto e, si spera, non dovrebbe neanche contenere residui di acido muriatico. E il bicchiere d’acqua è compreso o no? La correzione a cognac invece sappiamo tutti che è a parte. Sembrava più facile vero?

Noi avvocati lo definiamo rapporto contrattuale. Anche per un caffè, quindi, sarebbe opportuno un accordo scritto per chiarire tutti gli elementi, limitare responsabilità, rischi, fatti di terzi e il post vendita. Meglio evitare che accada ciò che è avvenuto ad una nota catena che si è vista condannare perché non aveva avvisato che il caffè contenuto nel bicchiere era bollente: una cliente si scottò le e l’azienda fu condannata a risarcire i danni. Più complesse sono le obbligazioni che derivano da un contratto e maggiori devono essere le cautele, specialmente per il fornitore.

Di tutto ciò sembra che se ne dimentichino molti fornitori di servizi, specialmente quelli connessi al mondo di internet, tra cui, in particolare, i Social Media Manager, sulle cui modalità di concludere un contratto molto ci sarebbe da dire. Cerchiamo allora di capire, perlomeno, come NON si deve concludere un contratto.

Permettete una piccola, noiosa, ma indispensabile premessa giuridica.  Un contratto si “conclude” quando le parti sono d’accordo su tutti gli elementi ma, dopo, deve essere anche eseguito. Ricordiamoci quindi che esiste un contratto come “atto” (accordo) e un contratto come “rapporto” (l’esecuzione). L’atto deve contenere non solo tutti gli elementi perché si possa ritenere un contratto concluso, ma anche quelli che ne disciplinano l’esecuzione e anche il dopo; quello che si chiama post-vendita e che per molte aziende dovrebbe essere, oltre ad un dovere, anche un plusvalore.

Per quanto riguarda il contratto del Social Media Manager ecco 5 errori da evitare.

1 Basta una stretta di mano

Forse in altre epoche era sufficiente. Quando ci si limita a ritenere che basta un assenso tra amici per definire tutti i termini di un contratto, non ci si rende conto dei rischi in cui si può incorrere, specialmente se una delle parti ritiene che alcuni elementi debbano ritenersi “sottintesi” in virtù proprio del sottostante rapporto di amicizia che intercorre.

In giudizio però tutto questo non riesce ad essere provato. Anzi; già è dura fornire la prova che la stretta di mano vi sia stata, immaginiamo il resto.

2 Scaricarlo da internet

Quando noi avvocati (brutta razza, lo so; ma qualcuno deve pur farlo) leggiamo i contratti che si trovano in internet, possiamo davvero dire di aver visto cose che voi umani …

I modelli prestampati già andavano poco bene quando si compravano nelle cartolerie. Infatti, non possono prevedere tutti i possibili risvolti del caso e, specialmente oggi, tra tutele dei consumatori, aspetti fiscali, dati personali e garanzie da fornire al cliente, è a dir poco impossibile che un modello trovato online possa tutelare un imprenditore o, peggio, chi opera sul web come ad esempio il Social Media Manager.

3 Il preventivo

Presentare un preventivo che, lo sappiamo, per abitudine e prassi, si vuole contenere in poche righe, massimo una pagina, perché il potenziale cliente si annoia a leggere un documento troppo complicato, è un sistema fin troppo abituale ma che dovremmo veramente smettere di usare. Possiamo in un preventivo inserire tutte le clausole necessarie per disciplinare la futura gestione ed evoluzione del rapporto? Se intervenissero variazioni di costi per il fornitore? Cause di forza maggiore?

4 Intanto iniziamo, poi vediamo come procede

E già fa ridere da sola.

Sorgono troppe domande che gli interessati non si fanno, tipo: iniziamo cosa? Come procede chi? Quando lo devo fare? Ci sono scadenze? Si, ma esattamente cosa devo fare? Come, quando e quanto mi pagherai? Devo andare avanti?

D’accordo, siamo all’improvvisazione più totale e sembra fantascienza ma, purtroppo, sappiamo bene che è una triste realtà.

5 Farlo scrivere da chi non è avvocato

Purtroppo, il legalese è un idioma più difficile del turco o del cinese e solo alcuni folli possono pensare di cimentarsi nella stesura di un contratto usando i termini corretti anche perché a molti sfugge che in questa strana lingua non sono ammessi i sinonimi. Eccoci quindi al paradossale: vengono usati come sinonimi locazione e affitto, risoluzione e recesso, addirittura proprietà e possesso.

In tribunale provate a spiegare ad un giudice che voi, in realtà, intendevate un’altra cosa…

Si potrebbe continuare e, andando avanti, magari raddoppiare questi modi non proprio ortodossi per concludere i vostri contratti.

Riflettete un attimo: ne vale davvero la pena?

Il contratto del Social Media Manager è come un vestito da cucire su misura: va adattato alle vostre aziende e alle necessità di ogni singolo business. O meglio ancora per tornare all’esempio iniziale: in che cosa consiste il vostro caffè? Quale zucchero o latte dovete mettere a disposizione necessariamente del vostro cliente e che cosa invece non è compreso? E, dall’altro lato, che cosa intende il cliente per il suo caffè? Pensateci bene.

Per finire, un consiglio.

Nei telefilm americani si vedono imprenditori che vanno in giro con avvocati con la stessa disinvoltura con cui un cowboy porta la sua pistola; tutto ciò avviene anche nella realtà. Un motivo probabilmente c’è. Per un avvocato il codice è paragonabile ad un’arma e, per parafrasare Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari” quando c’è da scrivere un contratto e un imprenditore disarmato, incontra un imprenditore armato di avvocato e codice, quello senza avvocato e codice è un imprenditore che sul mercato è morto.”

Avv. Gianni Dell’Aiuto

Per approfondire leggi anche: https://www.emeracomunicazione.it/2020/05/10/il-contratto-del-social-media-manager/

digital kidnapping

Digital kidnapping: il rischio estremo in rete

Il Digital kidnapping è ancora molto sconosciuto per questo vale la pena spiegare subito di cosa si tratta. Sicuramente avete quell’amica o parente che, non appena scopre di essere incinta, prima di tutto lo comunica sui social e, presa dall’entusiasmo e dalla felicità, dimentica che il messaggio non giunge solo ai destinatari che lei immagina, ma a tutta l’utenza globale della rete.

E non sappiamo chi c’è dall’altra parte della tastiera. Ovviamente la vostra amica vi farà sapere quando nasce il bambino, fornendovi la possibilità di avere il codice fiscale; saremo poi tenuti costantemente aggiornati su compleanni, eventi più o meno belli, magari facendovi sapere chi sono gli amichetti che partecipano. Apoteosi con il primo giorno di scuola, la prima comunione, la partita di calcetto o il primo saggio di danza.

Fermiamoci un attimo a pensare: ad un bambino di pochi anni, la mamma, spalleggiata da nonne, zie, amiche, ha costruito un’identità digitale. Un bambino non è ancora in grado di parlare, tantomeno leggere e scrivere, e qualcuno gli sta garantendo una presenza sui social condita da abbondanti fotografie.

Prese dalla smania di far vedere e celebrare i propri figli, queste mamme non riflettono sul fatto che la rete è un immenso oceano dove tutti possono pescare e che ha una memoria infinita. Inoltre, nel momento in cui una fotografia viene postata, chiunque se ne può impossessare e usarla come e quando deciderà. Quante foto di bambini vengono pubblicate in rete?

Uno studio americano del 2016 ipotizzava una media di 116 all’anno: addirittura ben il 90 % dei bambini al di sotto dei due anni negli Stati Uniti avrebbe almeno una foto sui social. Sono dati a cui possiamo credere e che lasciano pochi dubbi che possano essere validi anche in Italia. Ma di che cosa se ne può fare qualcuno di queste fotografie e di questi dati? Dati di cui, oltretutto, chi posta ne perde il controllo e il bambino, diretto interessato, non potrà mai averlo.

Insomma viene data la possibilità a qualsiasi utente della rete di usare l’identità di quel bambino.

Per che cosa? Alcune identità vengono vendute sul darkweb per giochi di ruolo: le foto vengono ripubblicate su account appositamente creati con hashtag quali #adoptionrp, #orphanrp e #babyrp. Insomma si corre il concreto rischio che il proprio figlio venga utilizzato facendolo interagire adulti o altri bambini. E’ possibile che venga inserito in un contesto familiare in cui più persone che possono essere coppie, fratelli o genitori e le immagini del bambino possono fare il giro della rete con una mamma e un papà diversi che potrebbero essere coinvolti nelle vicende che la fantasia dei rapitori o degli acquirenti di immagini decidono di fargli vivere.   

Perché la definizione corretta è proprio quella di “rapimento digitale” o, più correttamente, “Digital Kidnapping.” Non è il classico furto di identità che avviene quando qualcuno si sostituisce alla sua ignara vittima per svuotargli il conto corrente o la carta di credito.

Il Digital Kidnapping consiste nel far propria l’identità di una persona per farne i più svariati usi. Da quello appena indicato di usarla in un gioco virtuale alla creazione di follower di un profilo fino al predisporre pacchetti che possono essere venduti a chi decide di usare un numero potenzialmente infinito di identità per incidere su sondaggi o preferenze che possono essere non solo quelli sul festival di Sanremo o il Grande Fratello, ma anche incidere sulle elezioni del prossimo presidente americano.

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di ipotesi fantascientifiche, ma purtroppo la realtà li smentisce: ricordiamoci che hacker e pirati informatici hanno a loro disposizione non solo gli strumenti necessari e tutto il tempo necessario, ma hanno anche un numero infinito di complici che li aiutano ogni giorno e agevolano il loro lavoro: tutti coloro che postano foto e informazioni in rete.

Avv. Gianni Dell'Aiuto

Contatti: www.dellaiuto.com

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